Iraq, Arabia Saudita si è rifiutata di accogliere Maliki, stampa araba
Roma, 26 aprile 2007 - L'Arabia Saudita avrebbe rifiutato di accogliere a Riyadh il premier iracheno Nuri al Maliki per aver limitato l’inserimento dei sunniti nell’amministrazione irachena e per avere rafforzato il ruolo dell’Iran nel suo Paese. È quanto rivela stamani il quotidiano panarabo pubblicato a Londra al Quds al Arabi, che cita una fonte diplomatica "di alto profilo".
"La parzialità dimostrata da Maliki - ha detto la fonte - e le sue posizioni non positive nei confronti dei sunniti, sono tra le cause che hanno spinto la leadership saudita a rifiutarsi di accoglierlo". La colpa del premier iracheno - ha aggiunto la fonte - sarebbe anche quella di avere "contribuito a rafforzare il ruolo dell'Iran nel suo Paese".
Maliki è impegnato in un tour nei Paesi che dovranno partecipare alla Conferenza internazionale sulla sicurezza in Iraq, prevista per l'inizio del mese prossimo a Sharm al Sheikh, in Egitto. La tappa nella capitale saudita - osserva il quotidiano arabo - avrebbe dovuto "intervallare il viaggio tra il Cairo e Kuwait City".
Fonte: Apcom
"Fermare il referendum, o Kirkuk esploderà"
Rapporto dell'Icg: la consultazione sullo status della città petrolifera scatenerebbe il caos, come a Baghdad di Michelangelo Cocco Il Manifesto, 25 aprile 2007 Tutta concentrata sul piano di sicurezza per Baghdad, l'Amministrazione statunitense resta a guardare l'escalation di tensione attorno alla città di Kirkuk, la cassaforte petrolifera del nord dell'Iraq contesa tra curdi, arabi e turcomanni. Nel suo ultimo rapporto l’International crisis group (Icg) avverte che Washington "deve riconoscere il rischio di un'esplosione a Kirkuk e convincere curdi, governo di Baghdad e Turchia a correggere le loro attuali politiche per favorire un accordo pacifico". Ad accelerare la corsa verso il baratro sarebbero attualmente due fattori: un referendum, fortemente voluto dai curdi, che potrebbe segnare l'annessione della città alla regione curda, e gli attacchi continui dei jihadisti che hanno trovato nella regione terreno fertile, cavalcando il risentimento anti-curdo degli arabi. Ne abbiamo discusso al telefono con Joost Hiltermann che da Amman (Giordania) coordina le ricerche dell'Icg per il Medio Oriente. Perché giudicate così pericoloso il referendum? La costituzione irachena prevede un generico referendum su Kirkuk, da indire entro la fine di quest'anno. I curdi vogliono una consultazione popolare sullo status della città, nel sottosuolo della quale c'è il 12 per cento delle riserve di greggio iracheno. La leadership curda è pronta a portare alle urne migliaia di persone che non vivono nell'area, discendenti delle famiglie cacciate dal regime di Saddam Hussein (che favorì il trasferimento di arabi nella città). Arabi e turcomanni tuttavia rifiutano la semplice idea di un voto, che a causa degli attuali equilibri demografici porterebbe Kirkuk in Kurdistan. Uno sbocco inaccettabile anche per la Turchia, che teme che i curdi in possesso di petrolio possano puntare a uno stato indipendente. Qual è oggi la situazione nell'area di Kirkuk? Ci sono tensioni crescenti e maggiore violenza ma, con l'avvicinarsi della fine dell'anno si può verificare una vera e propria esplosione se Washington non interviene in maniera decisa, imponendo un negoziato che fermi la corsa verso il referendum. Se ciò non avverrà, le varie etnie cercheranno anche l'appoggio esterno: siriano per gli arabi, turco per i turcomanni. Cosa hanno fatto finora gli Stati Uniti per disinnescare una situazione così esplosiva? Assolutamente nulla. Hanno sottolineato che la Costituzione deve essere applicata, un approccio che le comunità non curde hanno percepito come totalmente a favore dei curdi, tradizionalmente alleati di Washington. Perché se è vero che applicare la costituzione è giusto, nel caso di Kirkuk ci troviamo di fronte a una situazione esplosiva che va fermata. Come si lega la questione di Kirkuk alla legge sugli idrocarburi? La legge recentemente approvata dal governo non affronta il problema della divisione dei proventi derivati dall'esportazione di greggio, ma solo quello delle concessioni alle compagnie straniere. I curdi sono d'accordo con una spartizione in partì uguali dei proventi del greggio: avrebbero anche loro da guadagnarne, perché le maggiori ricchezze sono nel sud sciita. I sunniti temono di rimanere tagliati fuori se non verrà affrontato al più presto il problema, con una legge. Ma attualmente il governo sciita controlla sia le aree sciite che quelle curde e non ha interesse ad accelerare questo processo. E in mancanza di una ripartizione, i curdi saranno invogliati a soluzioni separatistiche. Qual è allora la soluzione per Kirkuk e i suoi pozzi? È necessario un approccio a più livelli. I due principali partiti curdi, il Partito democratico (Upk) e il partito democratico (Pdk), devono adottare un nuovo approccio al problema, rinunciando al referendum; iniziare il dialogo con le altre etnie. Il governo statunitense deve mettersi in gioco e promettere la propria protezione al Kurdistan in cambio dell'abbandono della consultazione popolare. Washington, deve inoltre fare pressioni affinché si arrivi ad un accordo sulla divisione degli introiti petroliferi. La Turchia deve finirla con la retorica di guerra e deve dare spazio alla diplomazia e al dialogo. Si tratta insomma di mettere in moto un approccio complessivo. Il tempo però stringe.
Usa: Camera, via da Iraq entro 31/3/08; Bush porrà veto
Braccio di ferro tra Democratici e Presidenza Bush sulla missione in Iraq.
La Camera dei Rappresentanti del Congresso federale americano ha lanciato oggi l’ennesimo guanto di sfida a George W. Bush e alla sua amministrazione: malgrado sia un atto puramente formale (vista la più volte reiterata minaccia di opporre il veto da parte del presidente Usa), la Camera ha approvato il disegno di legge che autorizza lo stanziamento di 124 miliardi di dollari in fondi di emergenza destinati al finanziamento delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan, "a patto" che il ritiro delle truppe statunitensi dal Paese arabo abbia inizio dal prossimo otobre e, sebbene la data abbia valore non vincolante bensì meramente indicativo, completarsi entro e non oltre il 31 marzo 2008.
Il testo è stato licenziato con 218 voti a favore e 208 contrari, cioé in maniera che più 'parisan’ non sarebbe potuta essere, enfatizzando come non mai la spaccatura tra democratici e repubblicani che ormai divide nettamente il Parlamento di Washington, soprattutto dopo la vittoria dei primi nelle elezioni di medio termine dello scorso 8 novembre, che li ha visti riconquistare la maggioranza dopo ben dodici anni. La mossa costituisce un vero e proprio schiaffo a Bush, dunque, il quale ha piu’ volte ribadito che mai accetterà di promulagare provvedimenti con cui si stabilisca un termine per il richiamo del contingente Usa di stanza in Iraq.
Il capo della Casa bianca lo ha ribadito anche in questa occasione, attraverso la propria portavoce Dana Perino, che ha subito liquidato l’iniziativa della camera bassa alla stregua di un "voto per il fallimento in Iraq", attraverso l’approvazione di "una legge deludente", che "insiste su una data per la resa, lega le mani ai nostri generali e prevede spese per miliardi di dollari che non sono legate alla guerra". Il presidente, ha avvertito Perino, "porrà il veto" al testo approvato dai deputati, e adesso non vede l’ora che esso passi anche al vaglio del Senato, il quale dovrebbe votarlo oggi stesso, per poi bloccarlo grazie alla prerogativa che gli spetta istituzionalmente, e in tal modo eliminarlo e sostituirlo con un disegno di legge completamente nuovo e diverso.
Anche il Senato Usa approva il ritiro dall'Iraq nell'aprile del 2008
Washington - Il Senato Usa ha approvato oggi una legge che indica nell'aprile 2008 la scadenza della permanenza delle truppe americane in Iraq. La stessa legge era stata approvata ieri sera dalla Camera. La controversa legge, che stanzia anche i fondi per le guerre in Iraq e Afghanistan, è stata approvata dal senato per 51 voti a 46.
La legge indica nell'ottobre prossimo l'inizio del rimpatrio delle truppe Usa dall'Iraq e nell'aprile 2008 la scadenza della fine delle operazioni di combattimento delle truppe americane (che potranno però continuare la missione di addestramento delle forze irachene).
I repubblicani al Congresso hanno definito la legge "una resa" agli avversari degli Stati Uniti in Iraq.
Dopo il voto la Casa Bianca ha annunciato che Bush metterà il veto alla legge. "Una precipitosa ritirata dall'Iraq non è una buona idea", ha spiegato oggi la portavoce della Casa Bianca Dana Perino.
Il presidente metterà il veto alla legge, che stanzia anche oltre 100 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e Afghanistan, perché considera inaccettabile l'inserimento nel testo di una "data arbitraria" sulla permanenza delle truppe americane in Iraq, ha ribadito oggi la Casa Bianca.
La legge giungerà alla Casa Bianca la prossima settimana in coincidenza col quarto anniversario, il primo maggio, della famosa dichiarazione di Bush dalla portaerei Lincoln che la guerra in Iraq era di fatto conclusa.
Il "governo" di Baghdad critica il voto del Senato Usa sul ritiro delle truppe
Il portavoce del governo iracheno ha criticato il voto di oggi al Senato Usa, con il quale è stata approvata la legge di spesa straordinaria che prevede l'inizio del ritiro delle truppe americane dall'Iraq entro il primo ottobre.
"Vediamo alcuni aspetti negativi nella decisione perché invia dei messaggi negativi ad alcune parti che potrebbero pensare ad alternative al processo politico", ha detto Ali al Dabbagh.
"Le forze della coalizione hanno sacrificato molte vite e dovrebbero continuare la loro missione, che è quella di ricostruire le forze di sicurezza irachene fino alla fine", ha aggiunto il portavoce del governo di Baghdad. "Interpretiamo tutto ciò come quattro anni di sacrifici persi".
Iraq, triplo attentato contro sezione partito democratico curdo
Due autobombe e un attentatore suicida hanno colpito un ufficio del Partito democratico del Kurdistan, nella cittadina di Zumal, vicino a Mosul, nel nord dell'Iraq. Tre peshmerga sono rimasti uccisi e 13 persone ferite, secondo quanto rendono noto fonti della polizia. Il partito democratico, già obiettivo di un altro attentato lo scorso lunedì, fa capo a Massud Barzani, il Presidente del Kurdistan.
Iraq: Attacco kamikaze a chick-point, 9 morti e 15 feriti
Nove soldati iracheni sono morti e altre 15 persone sono rimaste ferite per l'esplosione di un kamikaze a bordo di un'auto, in un posto di blocco dell'esercito a Khalis, 80 chilometri a nord di Bagdad. Lo ha riferito la polizia. Tra i feriti ci sono anche civili, secondo le fonti. Khalis si trova nella provincia di Diyala, a popolazione mista sunnita e sciita, dove questa settimana altri due attentati dinamitardi hanno provocato numerose vittime.
IRAQ: COMANDANTE CARCERE USA ARRESTATO PER FAVOREGGIAMENTO
(AGI) - Washington, 26 apr. - Sarebbero quelle di "intelligenza con il nemico" e relativo favoreggiamento le accuse piu' gravi mosse al tenente colonnello William Steele, finora comandante di Camp Cropper, un carcere speciale americano situato alle porte di Baghdad dal quale passo' in alcune occasioni, tra gli altri, anche l'ex dittatore Saddam Hussein: lo ha riferito il network televisivo 'Nbc' attraverso il proprio sito su Internet, citando un documento riservato del Comando Usa in Iraq. Steele e' stato arrestato dalla polizia militare statunitense e posto sotto inchiesta; immediatamente trasferito nel Kuwait, si trova ora detenuto in stato di isolamento. In base all'articolo 32 del codice penale militare di guerra Usa, l'ufficiale dovra' comparire davanti a una commissione di superiori per essere interrogato ed eventualmente discolparsi: si decidera' in tale sede se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla corte marziale
IRAQ: COGNATA E NIPOTE DI Ali' Hassan al-Majid UCCISE IN CASA A TIKRIT
Baghdad, 26 apr. - (Adnkronos/Dpa) - Un commando di uomini armati e' penetrato nella casa di un fratello del Generale Ali' Hassan al-Majid, cugino di Saddam Hussein ( soprannominato dalla stampa occidentale come 'Ali' il chimico') , e hanno ucciso sua moglie e la figlia. Lo ha riferito la polizia, precisando che dall'abitazione di Hashim Hassan al Majid, situata nel distretto di Qadessiya, al nord di Tikrit, non e' stato portato via alcun oggetto di valore.
Iraq: esplosione in scuola, vittime Due autobomba a Baghdad, almeno 7 morti e 18 feriti
(ANSA)-BAGHDAD, 26 APR- Un bambino e' morto e altri quattro sono rimasti feriti in Iraq in seguito all'esplosione di un ordigno all'interno di una scuola elementare. L'esplosione e' avvenuta nella cittadina di Jeble, a nord di Hilla, in una zona dove vivono sia sunniti che sciiti. Sono invece sette le persone morte e 18 quelle rimaste ferite per l'esplosione di due autobomba in due diverse zone di Baghdad. Il piu' letale dei due attacchi e' stato messo a segno nel quartiere Jadiriya, nei pressi dell'hotel al Hamra.
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